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Il Covid-19 e la fatica di cambiare

Questo Covid-19 ci ha cambiati.

Ci ha dimostrato che andare avanti non è sempre progredire, a volte è procedere per inerzia, senza scegliere la rotta.

Abbiamo trascorso decenni così, in automatico, ovattati dalla routine quotidiana,  scambiando bisogni indotti per reali.

Abbiamo dato per scontati i particolari di una giornata, ignorando i limiti imposti dall’altro da noi, assecondando l’egocentrismo tipico dei Sapiens.

Ma ora, Covid-19 ha cambiato le regole del gioco.

Ci vorrà molto tempo prima di riuscire a metabolizzare il cambiamento forzato, l’imposizione di abitudini,  l’uscita coatta dalla zona di comfort.

Uscire dagli schemi, immaginarsi strade possibili, reinventarsi, fare da soli, sostenere l’altro e la sua assenza implica fatica. Veniamo da anni in cui è stata disprezzata, ridicolizzata e molti tra noi non vedono l’ora di eliminarla e ritornare agli schemi, cognitivi e comportamentali, del pre-virus.

Oggi è necessaria una nuova valorizzazione della fatica, una restituzione di senso rispetto ad essa, trasversale  alle generazioni.

La fatica è intrinseca al cambiamento e ristruttura i bisogni che nel prossimo futuro richiederanno l’ampliamento dei diritti: uno su tutti l’accesso alla rete, ai device, esploso con forza in questo periodo e che si è mostrato legato come non mai all’esegibilità di altri diritti e incredibilmente intergenerazionale. I bambini ed i giovani ne hanno bisogno per poter esercitare il diritto allo studio, ma anche gli adulti e soprattutto gli anziani ne necessitano per l’esercizio del diritto di cittadinanza, oltre che per il mantenimento dei contatti affettivi e relazionali.

Ed a proposito di generazioni, durante questa emergenza molto si è parlato di adulti ed anziani, poco di bambini, per nulla di adolescenti: ancora una volta sono scomparsi dalle agende di politici e adulti in genere. Proprio loro che, fino all’altro ieri, erano in cima alla lista delle questioni all’ordine del giorno in materia di digitale, oggi sono scomparsi (ne abbiamo sentito parlare solo in tema di scuola, di compiti da svolgere, esami da sostenere, in una visione assolutamente adultocentrica).

E la loro voce? Loro che pensano? Che dicono quelli che agli adulti piace chiamare “nativi digitali”, in questo momento in cui tutti si riempono la bocca di digitale?

Forse qualcosa da dire lo avrebbero ma nessuno li ha interpellati, troppa fatica.

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